Note di storia pubblicazione del 1926 di Don Salvatore Mercuri Abate del Santuario

Vallepietra.
Questo comune, ad 825 metri sopra il livello del mare, è 27 km distante da Subiaco ed 87 da Roma. Esso è circoscritto da monti immensi, e tra questi torreggia il monte Autore, che si eleva a 1855 m, vestito in gran parte da selve secolari di faggio, e proprietà dei Marchesi Troili di Roma. Il suo bacino, nel quale alcuni vollero vedere gli avanzi di un antico ghiacciaio, non saprei con quale fondamento, non ha altra apertura all’infuori di quella angustissima del vallone, scavato dal deflusso del Sembrivio. L’origine di questo paese è incerta, e sarebbe opera vana il ricercarla. Ma l’opinione comune degli storici, uniformandosi al vocabolo latino, Vallis petrarum, che trovasi nelle più antiche memorie, ritiene avergli dato il nome la sua posizione geologica, sorgendo essa nell’estremità della lunga valle del Simbrivio, la quale di tratto in tratto rappresenta massi infiniti di pietre calcari di varie forme e grandezze. L’oppido antichissimo dei Trebani, preesistente alla fondazione di Vallepietra, sorgeva nella amena collina al sud di questo paese, denominata anche oggi Colle Clemente, e gli avanzi, che ne rimangono, dimostrano che quella terra fu abitata da fieri montanari, ardenti e gelosi custodi dei loro diritti, a cui fecero appello i Romani dopo la sconfitta di Canne, quando furono chiamati a combattere Annibale, anche quelli, che abitavano alle rive del Simbrivio. A questi che erano gli Equi primitivi, e che Virgilio nel Libro VII dell’Eneide chiama horrida gens, successero uomini amanti di pace e di preghiera ai tempi della venuta di S. Benedetto a Subiaco, i quali per sottrarsi al rumore delle guerre civili, cercarono un asilo presso i celeberrimi Monasteri Sublacensi, e che si estendevano fino a Vallepietra.

Il santuario.
Topografia.- A breve distanza dal Monte Autore, punto culminante dei Simbruini e da metri 1.337 sul livello del mare, si innalza l’imponente scogliera, alta circa m.300, detta della Santissima Trinità, (la parete verticale nel <<Colle della Tagliata>> m. 1.654), nome datole dal Santuario che sorge alla sua base e s’interna nelle viscere del monte in una specie di spelonca prodottavi dalla natura ed ampliata in remotissimi tempi dallo scalpello. L’intero Speco misura m.15 in lunghezza, 8 in altezza e 6 in larghezza.
Archeologia Pagana. -Gli avanzi di muro ad opera reticolata, che sino a pochi anni addietro si osservarono sotto il piazzale e nei ruderi dell’antico Bagno, furono travolti da una valanga nel 1873; la quantità, ben significanti, di marmi di vario colore, sparsi qua e là nella chiesa, nel suo sotterraneo e nell’Eremo annessovi; due rocchi simmetrici di colonna, posti a piè della scala orientale; un iscrizione portante il nome romano T. Alfius; un frammento di epigrafe, a doppia linea, con lettere unciali e bellamente incise, stanno ad indicare che il luogo ermo e solitario fu abitato prima assai che venissero a porvi stanza i Monaci dell’Ordine di San Basilio e di San Benedetto, edificandovi, questi, un ampio monastero di cui rimangono le vestigia nello stesso scoglio, scalpellato per la lunghezza di 100 metri, e nei numeri delle celle tuttora apparenti nello spiazzo.
Origine religiosa.- dell’origine religiosa, poi, del nostro Santuario un solo documento si ebbe in una lacera pergamena, listata in oro, letta già da me, che poi andò perduta in un incendio, cui mano straniera gettò l’intera collezione di interessanti manoscritti conservati dalla nobile famiglia Costa di Vallepietra, ora estinta.
In quel documento, peraltro affatto consono alla tradizione dei Valligiani, sarebbe riportata l’origine del Santuario addirittura ai primordi dell’Era Volgare.
Ai monaci Basiliani successivamente venuti sulla dimora alpestre, gli eruditi attribuirono l’opera laboriosissima di scalpello, eseguita nel Santuario, e il titolo di Archimandrita, rimasto all’abate titolare. Mentre altri opinano e il nostro Santuario e gli adiacenti romitaggi (ora diruti, ma tutti riconoscibili) siano un appendice dei monasteri del gran Patriarca d’Occidente, lungo la Valle dell’Aniene, detta <<Valle Santa>>, nelle cronache benedettine.
Nei secoli XII e XIII, solenni documenti pontifici assegnarono Vallepietra con il suo Santuario alla giurisdizione vescovile di Anagni, ciò che fino ad oggi rimane. Il Santuario è retto da un Abate, nominato dal Vescovo; una Commissione centrale, nel capoluogo della Diocesi, presieduta da S. E. Mons. Vescovo, coadiuva, per l’andamento del Culto e l’Amministrazione, l’Abate del Santuario.
Le pitture- ciò che ha di più notevole il Santuario sono le sue pitture murali, di cui si ignora l’epoca precisa. Del secolo VII ed VIII le crede il chiarissimo archeologo Mons. Domenico canonico Petriconi, vicario generale di Anagni; di epoca bizantina altri. L’immagine principale, figurante la Santissima Trinità in tre identiche persone sedute, è cosa forse unica al mondo, perché la Chiesa non ha mai permesso che la Triade augusta venisse espressa sotto tali sembianze.
Nei riquadri seguenti sono rappresentati alcuni tratti del Nuovo Testamento, dal lato opposto si ammirano due immagini della Vergine con il Bambino, una delle quali di bellissimo effetto, ed altri santi, dipinti in epoche diverse, ma antichissime pure esse. Il Barone Mgr. Tiberio Piccolomini, nei primordi del presente secolo, ordinando il restauro della Chiesa, fu causa che sparissero i dipinti della volta e quelli della parete settentrionale e che di molte altre pitture si deturpasse, ritoccandole, l’antica bellezza.
L’affresco che si osserva nell’altare esterno del Santuario è stimato lavoro di buona scuola del secolo XIII. La sezione romana del Club Alpino Italiano, per cura del suo vice presidente ingegnere Edoardo Martinori, nel 1883 volle tutelare il dipinto con un elegante edicola in ferro.

La Chiesa di Sant’Anna.
Ottenuto il permesso dai sigg. marchesi Carlo, Francesco e Paolino Troili, patroni del beneficio e proprietari del terreno ove sorge il Santuario, lo scrivente, nel febbraio del 1886,posemano alla creazione di una nuova edicola, da servire alla celebrazione dei divini Misteri.
Perforato con mine lo scoglio al lato occidentale della Chiesa, si aprì uno speco di piccole, ma ampliabili dimensioni. Se ne chiuse l’apertura con muro, del cui prospetto fornì il disegno il sullodato ing. Martinori. La Cappellina fu solennemente benedetta dallo scrivente, a ciò autorizzato dal R.mo Ordinario Diocesano, Monsignor Domenico Pietromarchi, ed aperta al culto mediante la celebrazione della S. Messa, il 7 giugno del detto anno 1886.
Si volle dedicata la Cappella alla gloriosa madre di Maria, essendoche’ nella festa di Lei (26 luglio) ricorre ab immemorabili il secondo pellegrinaggio annuale dei forestieri devoti al nostro Santuario.
Nel maggio del 1887, per cura dello stesso Abate Mercuri, nel centro dell’abside primitivo fu aperta, a punto di scalpello, la cripta interna che ora accoglie l’altare.
Giova qui ricordare che per l’innanzi era invero deplorevole, come che inevitabile, l’usanza indecorosa di registrare i nomi degli offerenti le elemosine di Messe e deporre le oblazioni sulla Mensa della Cappella principale del Santuario. L’amministrazione poi della S. Comunione riusciva allora disagevole assai, perché facevasì attraverso i fusti del cancello di cui è accento l’altare. Ne’ meno disadatta all’augusta Cerimonia porgevasi l’edicola dello Spirito Santo, appiè della scala di ingresso, ove chi scrive dovè più volte essere spettatore di inaudite profanazioni, cagionate dalla ressa dei comunicandi, da cui l’altare veniva assiepato, o, per dir più vero, assalito, ed ogni cosa sacra manomessa e dispersa.

Testo 

Don Salvatore Mercuri Abate del Santuario

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